Sospensione del mutuo? Ok se il licenziamento per giusta causa è stato impugnato

Il 21 novembre scorso l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e le maggiori associazioni dei consumatori, nell’ottica di dare continuità alle misure di sostegno previste dall’Accordo tra ABI e Associazioni dei Consumatori del 31 marzo 2015, hanno prorogato al 31 luglio 2018 il termine entro cui, al ricorrere di specifiche circostanze quali perdita del posto di lavoro, morte, handicap grave, sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, il cliente può richiedere alla banca la sospensione del mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione principale.

Sebbene l’art. 3 dell’Accordo riservi questo beneficio al cliente in difficoltà a causa della cessazione del rapporto lavoro “… ad eccezione delle ipotesi… di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo…” la banca è obbligata a concederlo anche a quello che, licenziato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, abbia impugnato il licenziamento davanti al Giudice del Lavoro per sentirne dichiarare l’illegittimità.

A dirlo è l’Arbitro Bancario Finanziario (organo di supervisione dell’attività bancaria e di risoluzione stragiudiziale delle controversie) nella condivisibile decisione n. 1554/2015, dove sottolinea come un licenziamento, unilateralmente deciso dal datore di lavoro e prontamente impugnato dal lavoratore, non può essere d’impedimento all’accoglimento della richiesta di sospensione, in quanto, in pendenza del giudizio e prima di conoscerne l’esito, non c’è certezza sulla effettiva sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo.

Invito tutti coloro che siano incappati in un licenziamento a contattarmi, per conoscere e tutelare al meglio i diritti eventualmente violati e per richiedere alla propria banca la sospensione per 12 mesi del mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione principale.

 

 

 

Pubblico Impiego Trasferimento

Pubblico Impiego: quale giustizia per il lavoratore che rifiuta il trasferimento altrove?

Pubblico Impiego Trasferimento

Pubblico Impiego Trasferimento

Nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale si colloca un recente provvedimento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ordinanza 29 luglio 2016, n. 15820) che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, in luogo di quella del giudice amministrativo, su una controversia in materia di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni. Il caso è quello di un pubblico dipendente che aveva fatto ricorso al T.A.R. per l’annullamento dell’atto (c.d. presupposto) col quale il Comune datore di lavoro, rivista la pianta organica, aveva individuato il suo profilo professionale come in eccedenza; e dell’atto (c.d.consequenziale) col quale lo stesso, avviata la procedura di mobilità, ne aveva disposto il passaggio diretto verso altre amministrazioni. Il Comune resistente si era così rivolto alla Corte di Cassazione per sentire dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, in luogo di quella del giudice amministrativo, chiedendo l’applicazione dell’art. 63 del D.lgs. 165 del 2001, che ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (…), ancorchè vengano in questione atti amministrativi presupposti”, prevedendo che “quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica.
Ritenenendo che l’oggetto sostanziale della domanda del lavoratore non fosse l’annullamento dell’atto presupposto, ma la sua disapplicazione al fine di sottrarre fondamento al consequenziale atto di gestione del posto di lavoro, la Corte accoglieva le istanze del Comune e dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario. La vicenda offre lo spunto per rammentare che, ove il rapporto di lavoro del dipendente pubblico risenta degli effetti di atti amministrativi, ancorchè presupposti, il solo giudice legittimato a conoscere della controversia è il giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro. E che la giurisdizione del giudice amministrativo residua per le sole controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione.

Falso profilo Facebook licenziamento

Falso profilo Facebook e licenziamento per giusta causa

Falso profilo Facebook licenziamento

Falso profilo Facebook licenziamento.

Nulla di strano se a nascondersi dietro un falso profilo Facebook è il partner che vuole misurare la vostra fedeltà. Inquietante è che sia il datore di lavoro a ricorrere a questo stratagemma per controllare il vostro operato in azienda.
E’ quello che deve avere pensato il dipendente di una società metalmeccanica quando gli è stato comunicato il licenziamento per giusta causa, consistente nel fatto che, durante l’orario di lavoro, conversava su Facebook con un falso profilo di donna creato appositamente dall’azienda per adescarlo, trascurando così di attendere al macchinario cui era addetto.
Il caso ha dato vita ad una vicenda giudiziaria culminata con la discussa sentenza della Corte di Cassazione n. 10955 del 27 maggio 2015 che, nel giudicare legittimo il licenziamento, ha richiamato la tradizionale distinzione tra controlli difensivi diretti ad accertare l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali, come tali vietati dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, e controlli difensivi diretti a tutelare il patrimonio aziendale sotto il profilo della sicurezza degli impianti, ammessi se utilizzati per accertare eventuali comportamenti illeciti del lavoratore. La creazione di un falso profilo Facebook ha rappresentato, ad avviso della Corte, una mera modalità di accertamento dell’illecito commesso dal lavoratore non invasiva né induttiva all’infrazione.
Irriducibili cacciatori di avventure virtuali, siete avvisati: il datore di lavoro può legittimamente trasformarsi in una specie di agent provocatuer per adescarvi sui social durante l’orario di lavoro e procedere a licenziarvi, con buona pace della vostra privacy e del principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto.

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