Pubblico Impiego Trasferimento

Pubblico Impiego: quale giustizia per il lavoratore che rifiuta il trasferimento altrove?

Pubblico Impiego Trasferimento

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Nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale si colloca un recente provvedimento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ordinanza 29 luglio 2016, n. 15820) che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, in luogo di quella del giudice amministrativo, su una controversia in materia di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni. Il caso è quello di un pubblico dipendente che aveva fatto ricorso al T.A.R. per l’annullamento dell’atto (c.d. presupposto) col quale il Comune datore di lavoro, rivista la pianta organica, aveva individuato il suo profilo professionale come in eccedenza; e dell’atto (c.d.consequenziale) col quale lo stesso, avviata la procedura di mobilità, ne aveva disposto il passaggio diretto verso altre amministrazioni. Il Comune resistente si era così rivolto alla Corte di Cassazione per sentire dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, in luogo di quella del giudice amministrativo, chiedendo l’applicazione dell’art. 63 del D.lgs. 165 del 2001, che ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (…), ancorchè vengano in questione atti amministrativi presupposti”, prevedendo che “quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica.
Ritenenendo che l’oggetto sostanziale della domanda del lavoratore non fosse l’annullamento dell’atto presupposto, ma la sua disapplicazione al fine di sottrarre fondamento al consequenziale atto di gestione del posto di lavoro, la Corte accoglieva le istanze del Comune e dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario. La vicenda offre lo spunto per rammentare che, ove il rapporto di lavoro del dipendente pubblico risenta degli effetti di atti amministrativi, ancorchè presupposti, il solo giudice legittimato a conoscere della controversia è il giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro. E che la giurisdizione del giudice amministrativo residua per le sole controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione.

Falso profilo Facebook licenziamento

Falso profilo Facebook e licenziamento per giusta causa

Falso profilo Facebook licenziamento

Falso profilo Facebook licenziamento.

Nulla di strano se a nascondersi dietro un falso profilo Facebook è il partner che vuole misurare la vostra fedeltà. Inquietante è che sia il datore di lavoro a ricorrere a questo stratagemma per controllare il vostro operato in azienda.
E’ quello che deve avere pensato il dipendente di una società metalmeccanica quando gli è stato comunicato il licenziamento per giusta causa, consistente nel fatto che, durante l’orario di lavoro, conversava su Facebook con un falso profilo di donna creato appositamente dall’azienda per adescarlo, trascurando così di attendere al macchinario cui era addetto.
Il caso ha dato vita ad una vicenda giudiziaria culminata con la discussa sentenza della Corte di Cassazione n. 10955 del 27 maggio 2015 che, nel giudicare legittimo il licenziamento, ha richiamato la tradizionale distinzione tra controlli difensivi diretti ad accertare l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali, come tali vietati dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, e controlli difensivi diretti a tutelare il patrimonio aziendale sotto il profilo della sicurezza degli impianti, ammessi se utilizzati per accertare eventuali comportamenti illeciti del lavoratore. La creazione di un falso profilo Facebook ha rappresentato, ad avviso della Corte, una mera modalità di accertamento dell’illecito commesso dal lavoratore non invasiva né induttiva all’infrazione.
Irriducibili cacciatori di avventure virtuali, siete avvisati: il datore di lavoro può legittimamente trasformarsi in una specie di agent provocatuer per adescarvi sui social durante l’orario di lavoro e procedere a licenziarvi, con buona pace della vostra privacy e del principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto.

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