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La prescrizione nel codice civile

La prescrizione è la sanzione che il codice civile ricollega al mancato esercizio di un diritto disponibile per un dato periodo di tempo e si sostanzia nella perdita del diritto che si è trascurato di esercitare.

Non c’è concordia tra dottrina e giurisprudenza circa la sua esatta portata.

Secondo alcuni autori si tratterebbe di vera e propria estinzione del diritto, cui si ricollegherebbe la nascita, in capo al debitore, di un’obbligazione naturale (art. 2034 c.c.). Ciò spiegherebbe facilmente il motivo per cui non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto (art. 2940 c.c.). Ed invero, se così non fosse, il debitore avrebbe diritto alla ripetizione di quanto pagato secondo la disciplina dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.).

Di diverso avviso sono altri autori e la giurisprudenza di legittimità.

Lungi dall’equiparare il diritto prescritto al diritto estinto, essi ritengono che la prescrizione privi il diritto che ne è interessato della sua tutelabilità in giudizio. E’ infatti previsto che il debitore può eccepire in giudizio la prescrizione del diritto vantato dal creditore, con l’effetto di paralizzare la sua pretesa e sottrarsi così al pagamento. Tuttavia, ove questo non avvenga, il giudizio segue normalmente il suo corso e il diritto in oggetto trova riconoscimento e tutela alla stessa stregua di un diritto non interessato dalla prescrizione. Ciò che non potrebbe essere se lo si considerasse un diritto estinto, dovendo necessariamente conseguire, all’estinzione del diritto, l’improponibilità della domanda giudiziale per inesistenza del diritto vantato. E’ coerente con questa ricostruzione teorica la disposizione del codice civile che impedisce al giudice di rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta (art. 2938 c.c.).

La prescrizione giunta a compimento è peraltro rinunciabile dalla parte che potrebbe avvalersene (art. 2937 c.c.). Segno, questo, che il diritto prescritto non può considerarsi estinto e che la rinuncia ha ad oggetto, più esattamente, la facoltà di eccepirla in giudizio. Non trattandosi di un atto formale, la rinuncia alla prescrizione può essere manifestata anche per fatti concludenti, quali sono stati individuati dalla giurisprudenza il riconoscimento del debito (art. 1988 c.c.), la richiesta di una dilazione di pagamento, il deferimento del giuramento decisorio (art. 2736 c.c.), tutte le volte in cui questi fatti siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi della prescrizione (art. 2937 c.c.). Sia nel caso di rinuncia espressa, sia nel caso di rinuncia manifestata per fatti concludenti, si è in presenza di una fattispecie negoziale che può essere posta in essere solo da chi può validamente disporre del diritto.

Eccettuati i casi in cui il diritto è imprescrittibile per sua natura, come nel caso dei diritti indisponibili (ad es. diritti della personalità, status ecc.), l’ordinario termine di prescrizione è di dieci anni.

A questa regola generale fanno eccezione alcuni diritti che si prescrivono in un termine più breve (artt. 2947, 2948, 2949, 2950, 2951, 2952 c.c.) sempreché non sia intervenuta, riguardo ad essi, una sentenza di condanna passata in giudicato, di cui può essere chiesta l’esecuzione nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2953 c.c.).

Veniamo ora alla disamina di alcune ipotesi di prescrizione di particolare interesse.

Si prescrivono in dieci anni, tra gli altri:

– i diritti di credito derivanti da operazioni commerciali;

– il diritto del legittimario alla riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima;

– il diritto del lavoratore alla qualifica superiore che abbia eventualmente acquisito per effetto del suo utilizzo in mansioni diverse;

– il diritto del lavoratore al risarcimento del danno per totale o parziale omissione contributiva;

– il diritto del lavoratore al risarcimento del danno per dequalificazione professionale.

Si prescrivono in cinque anni, tra gli altri:

– il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito (due se un simile danno è prodotto dalla circolazione di veicoli);

– il diritto del lavoratore alle retribuzioni periodiche;

– il diritto del lavoratore alle indennità di fine rapporto, tra cui il TFR;

– i diritti che derivano dai rapporti sociali;

– il diritto dei creditori della società a far valere in giudizio la responsabilità degli amministratori.

L’art. 2935 del codice civile stabilisce che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (c.d. dies a quo) e matura al compimento dell’ultimo giorno del termine (c.d. dies ad quem). Particolarmente copiosa è la produzione giurisprudenziale in materia di data di decorrenza della prescrizione, anche a causa degli enormi problemi di ordine pratico che la sua esatta individuazione può comportare.

Alla luce di tutto quanto precede, dovrebbe essere ora chiaro che la tempestività di una richiesta di pagamento è importante tanto quanto la sua fondatezza.

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Obbligo di concludere il procedimento amministrativo e tutela del privato

Benché l’art. 2 della legge 241/1990 preveda un vero e proprio obbligo di concludere il procedimento amministrativo nei termini e con un provvedimento espresso, può accadere che la Pubblica Amministrazione non lo concluda affatto o lo concluda con ritardo.

Si pensi al caso dell’imprenditore che, in possesso di tutti i requisiti necessari, chieda l’autorizzazione allo svolgimento di un’attività commerciale che non può essere intrapresa senza il preventivo assenso della Pubblica Amministrazione.

E’ evidente che l’inerzia, o anche il semplice ritardo, della Pubblica Amministrazione nel concludere il procedimento e rilasciare l’autorizzazione può causargli un pregiudizio: nell’incertezza di ottenerla o meno, non sa se potrà realizzare quanto si propone di fare; ottenutala in ritardo, potrebbe non essere più in grado di realizzare quanto avrebbe potuto se la Pubblica Amministrazione avesse rispettato i termini.

Allora come può tutelarsi il nostro imprenditore?

Semplificando al massimo e fatti i necessari distinguo, si può rispondere che può rivolgersi al competente TAR per ottenere la condanna della Pubblica Amministrazione a concludere il procedimento con un provvedimento espresso, che può essere di concessione o di diniego della richiesta autorizzazione.

In alternativa, oppure in aggiunta, può ottenere la condanna della Pubblica Amministrazione a risarcire il danno subito a causa del ritardo nel provvedere in cui la stessa sia incorsa.

Se anche voi state sperimentando la lentezza della macchina burocratica e siete indignati nel vedere ristagnare un procedimento amministrativo, non esitate a contattarmi per cercare insieme la soluzione più adatta al vostro caso.

 

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